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Il Tumore del Collo dell’Utero

Ogni anno in Italia ci sono 3500 nuovi casi di tumore al collo dell’utero e circa 1700 decessi per questo tipo di malattia. La sopravvivenza dopo cinque anni è del 64%. Questo tumore trae origine dall’epitelio di rivestimento della cervice dell’utero e rappresenta la quarta neoplasia per frequenza nella popolazione femminile del mondo occidentale dopo il cancro della mammella, del colon-retto e dell’endometrio.

Grazie alla diagnosi precoce, che permette di individuare le alterazioni tumorali delle cellule prima che compaiano i sintomi clinici, i tassi di mortalità sono fortemente diminuiti, tanto che in Italia, negli ultimi 35 anni, il tasso di mortalità tra le donne di età inferiore ai 50 anni è diminuito di circa il 70%. Il calo risulta, invece, inferiore tra le donne di età più avanzata.

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I fattori di rischio

L’insorgenza del tumore al collo dell’utero è legata alla presenza di virus Papilloma (HPV Human Papilloma Virus); esistono diversi tipi di HPV, quelli legati a questo tipo di cancro appartengono a sottogruppi definiti ad alto rischio. L’infezione da HPV sembra precedere di molti anni l’insorgenza di una patologia pretumorale.

Il virus del Papilloma umano si trasmette per via sessuale, e il rapporto tra la presenza del virus e il tumore al collo dell’utero è molto stretto; quest’ultimo, infatti, compare quasi esclusivamente in donne che hanno un’infezione HPV.

Le lesioni da Papilloma sono comunque frequenti (si ritiene che almeno il 75 % delle perone che hanno o hanno avuto un’attività sessuale presenteranno un’infezione da HPV) e nella maggior parte dei casi scompaiono autonomamente; solo una piccola parte delle infezioni, se lasciata a sé, progredisce verso il cancro. In ogni caso, molto tempo prima dell’insorgenza del tumore compaiono lesioni pretumorali: queste lesioni sono quelle ricercate dagli screening, poiché su queste si può intervenire, da qui l’importanza di prendere parte a tali campagne.

Al momento il Papilloma virus è l’unica causa riconosciuta, necessaria ma non sufficiente, per l’insorgenza di questo tipo di tumore; anche la familiarità e l’attività sessuale sono, comunque, variabili che possono incidere sul rischio. La vita sessuale delle donne può, infatti, causare ripetute infezioni virali, capaci di alterare il patrimonio genetico delle cellule e di favorirne la trasformazione maligna. L’inizio precoce dei rapporti, l’elevato numero di partners e la presenza di infezioni genitali ripetute, inoltre, aumentano il pericolo di ammalarsi.

Come si cura

Le lesioni pretumorali che vengono diagnosticate grazie al Pap Test vengono classificate in maniera diversa secondo la proporzione di tessuto coinvolta dall’alterazione cellulare.

Se un terzo della mucosa viene coinvolta la lesione si chiama CIN I; se due terzi della mucosa sono coinvolti si chiama CIN II; se tutta la mucosa è coinvolta si chiama CIN III e può assumere il significato di carcinoma in situ. In tutte queste fasi, comunque, non viene superata la membrana basale, tutto il processo è limitato all’epitelio e non vi è contatto con i vasi sanguigni o linfatici, per cui non vi è rischio di metastasizzazione.

Le lesioni CIN I vengono anche chiamate di basso grado, mentre le lesioni CIN II e CIN III di alto grado. Queste ultime raramente progrediscono fino a diventare un carcinoma. Questo è il motivo per cui le lesioni di alto grado vengono asportate con il laser, con il bisturi o con una particolare ansa termica (LEEP) che in pochi minuti consente di eliminare la parte malata. Le lesioni di basso grado, invece, possono tranquillamente venire monitorate nel tempo senza dover distruggere nulla, ma controllando periodicamente il loro stato. Ciò consente di evitare trattamenti invasivi sul collo dell’utero, un organo molto importante ai fini della gravidanza e del parto. Se però un trattamento deve essere effettuato (ad esempio con l’ansa termica), ciò non compromette la fertilità futura della donna, né ha conseguenze sul parto.

Il programma regionale di screening

Gli screening sono operazioni sanitarie che consentono la presuntiva identificazione di una malattia non sintomatica o di una condizione di rischio mediante l’applicazione di un test, di un esame o di un’altra procedura di rapido impiego.
Lo screening non è da considerarsi diagnostico: i test che vengono effettuati sono solo esami iniziali che servono a distinguere soggetti probabilmente sani da soggetti probabilmente malati, che quindi necessitano di altri esami diagnostici.

Gli screening oncologici hanno l’obiettivo di diminuire la mortalità e/o l’incidenza di una neoplasia identificando i tumori non sintomatici e attivando opportuni percorsi diagnostico-terapeutici capaci di modificare la storia naturale del tumore rilevato.

Lo screening per il tumore al collo dell’utero della Regione Piemonte prevede un Pap Test ogni tre anni per le donne di età compresa tra i 25 e i 64 anni. Le donne di età tra 65 e 75 anni, che non abbiano effettuato almeno due pap test dopo i 50 anni hanno diritto all'esecuzione del test presso i centri di screening. Lo standard regionale prevede, per gli screening a regime, che si inviti un terzo della popolazione obiettivo, divisa per il triennio della periodicità consigliata, al termine del quale, in questo modo, può essere contattato il 100% del target.

Fonte
Regione Piamonte. Sanita

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